Alcune recensioni di libri, spettacoli e cinema a cura di Carmela Gabriele

Prefazione del libro "Giosuè e altri racconti" di Milena Ziletti a cura di Carmela Gabriele 

Esistono ancora oggi libri che riescano a catapultarti direttamente all’interno della storia raccontata, assorbendoti completamente con i loro ingredienti sagaci di fantasia mista all’eterea dolcezza del sogno, che alla fin fine, vivi interamente come consistente realtà passata sulla tua pelle attraverso un fitto processo di immedesimazione nelle avventure del personaggio principale?

Questa la domanda che molti si saranno posti, prima di cominciare a leggere un libro,  e alla quale spesso avranno dato risposta negativa, ma certamente qualche volta avranno trovato qualcosa di talmente avvincente e forte nella narrazione fatta dall’autore, da non poter far altro che rispondere affermativamente.

E il libro “Giosuè e altri racconti” della scrittrice Milena Ziletti, da sempre una grande maestra del genere fantasy per ulteriori opere scritte con ottimo riscontro della critica letteraria, ne è la testimonianza migliore, poichè sin dalle prime righe del testo ti ammalia con le sue dettagliate e profonde immagini non solo fantastiche, create a puntino per aprirti alla lettura dell’anima di ogni singola creatura partorita dalla sua creatività, rafforzata dal possedere un dono rarissimo, il talento nella “scrittura naturale”.

Ma cos’è la scrittura naturale in termini concreti? È quella capacità innata che c’è in ciascuno di noi di trasferire all’istante, con estrema semplicità e chiarezza, le proprie idee su carta, non servendosi di particolari figure retoriche ed eccessivi orpelli letterari, che andrebbero a costruire dopotutto qualcosa di artificioso e poco credibile agli occhi del lettore medio, rappresentato da persone con discreta istruzione, indubbiamente alla ricerca di elaborati non troppo appesantiti da ermetismi e arzigogoli.

Lo stile letterario “snello” dell’autrice è uno dei punti di forza di questa sua nuova opera, che però ne è caratterizzata da tanti altri, in primis dall’indiscutibile bellezza dei racconti inclusi, partendo appunto da “Giosuè”, la storia toccante e insieme ardimentosa di questo bambino, da interpretarsi in chiave puramente metaforica come il percorso di guarigione che ognuno di noi avrà fatto almeno una volta nella sua vita, aggrappandosi a una ragione possente per vincere la sua battaglia contro un triste destino.

Ebbene Giosuè la sua battaglia la vince di gran lunga grazie all’aiuto del suo amico delfino, imbattutosi un giorno sul suo cammino per portarlo insieme a lui a conoscere i misteri profondamente nascosti dal mare, in una città sommersa chissà da quanti secoli.

Città che è la perfetta fotografia di una qualunque, abitata dagli esseri umani, con le sue memorie di antichi re, sagge figure di sibille o guaritori, artisti dediti alla recitazione soprattutto, figlie di sovrani innamorate, povera gente che non riesce a trovar soluzione ai brutti giochi della sorte, ragazze salvate con tragici espedienti, e ancora molto di più!  

Tutti gli insegnamenti esistenziali tratti da questa magica avventura degli abissi -  tra cui emerge quello maggiore dell’amore assoluto come arma per ogni male sbattutto in faccia dalla crudeltà del vivere quotidiano, a cui purtroppo tutti andiamo incontro prima o poi - edificano intorno al piccolo e sensibilissimo Giosuè, che ha dovuto sopportare la sofferenza degli ospedali per la sua malattia, una potente corazza per riuscire a crescere sano e libero di realizzare tutti i suoi sogni.

Il delfino Siffo, simpatico e loquace compagno di viaggio, frutto dell’immane fantasia di Milena Ziletti, non è quindi altro che allegoricamente strumento per ritornare in equilibrio con se stesso e contemporaneamente una ragione di vita speciale per il protagonista, che si era spento in parte per il dolore patito.

Ed ecco che alla fine della storia Giosuè si ritrova uomo felice e realizzato, con una certezza, di non aver solo sognato Siffo...

Se dal racconto fantasy di Giosuè si evince netta una chiave di lettura terapeutica della trama, possiamo affermare dall’altro canto che per “Il maniero abbandonato” se ne evince invece una di continua suspance.

Suspance dovuta ai continui colpi di scena, a tratti rabbrividenti, a cui va incontro la protagonista, una splendida e audace ragazza che non si lascia soffocare dal senso di paura, quando varca la soglia di un posto alquanto pericolante e poco raccomandato.

Il maniero diroccato, in fondo, è simbolo di tutte quelle subconscie angosce umane alberganti in noi, e che non sempre vengono risolte facendo un passo in più, ossia tentando di abbatterle definitivamente affrontandole a viso duro.

Varcando la soglia del proibito, Elisabeth riesce laddove tutti hanno fallito per essere stati condizionati da una “leggenda metropolitana” etichettante il maniero come un posto nefasto, da tenere lontano dalle proprie curiosità esplorative e da se stessi per la propria incolumità fisica, e compie quel passo importante per non essere più schiava delle sue abissine paure.

Il maniero abbandonato resta un racconto fantasy molto moderno, poichè tratta anche il tema dei fenomeni paranormali come quello della presenza dei fantasmi infestanti vecchie dimore, però sempre con un tocco di sensibilità che addolcisce argomenti tanto oscuri.

Il fantasma del maniero, infatti, ha tratti interiori molto umani ed è stato un tempo messaggero di amore indissolubile dal sacrificio.

Elisabeth attraverso il buon fantasma si “evolve” spiritualmente e se ne va fuori dal maniero, come per il racconto di Giosuè, con una certezza nelle mani...

Tra gli altri racconti contenuti in questo libro di Milena Ziletti risalta certamente per le descrizioni naturalistiche molto accurate e il clima festoso e giocoso “Il Picchio Scultore” che come il successivo racconto “La Fata Sbadata” è indirizzato ai più piccoli, desiderosi di scovare luoghi popolati da creature fantastiche e incantesimi.

Protagonisti due bambini piccolissimi che nel bosco, tante volte scenario misterioso delle fiabe, vivono in un giorno mille avventure e nella figura del Picchio in particolare trovano un “amico speciale”, anche se conoscendolo meglio mediante i racconti di un altro strampalato animale, abitante del posto. Anche loro, rappresentanti la vita che sboccia poco alla volta, aprendosi alle meraviglie del mondo, saranno rallegrati da un dono che è una certezza del valore dell’amicizia...

Ne “La Fata Sbadata” invece come messaggio finale si vuole dare quello della diligenza e precisione fondamentali per portare a termine in modo ineccepibile tutte le cose, sebbene talvolta, da un’azione sbagliata o negligente, possano poi nascere elementi positivi per un domani.

Questo entusiasmante viaggio nel cuore della fantasia dell’autrice termina con una dolcissima ninna nanna, lirica sinonimo dell’amore più grande che non conosce confini, quello materno, e al contempo riassunto di tutte le tematiche contenute nell’opera, calcando insistente l’attenzione su una parola: felicità.

Si, perchè in fin dei conti, quello che vuole regalarci questo libro, è qualcosa di impagabile e a momenti irraggiungibile in tutta la sua apoteosi: la felicità assoluta dell’esistenza, da cogliere in occasioni uniche che ci offre in distinte fasi del nostro cammino terreno.

E soprattutto la felicità di tornare candidi e innocenti come il fanciullino di pascoliana memoria, sempre pronto a catturare ogni immagine ed emozione senza filtri.

 

 

Recensione del libro "Santa Claudia Procula e Pilato - Romanzo e Storia" del dott. Andrea Santaniello a cura di Carmela Gabriele 

La morte di Gesù indubbiamente costituisce ancora oggi per la maggior parte degli studiosi e dei credenti nel cattolicesimo uno dei sacrifici universali e dei misteri, in parte inspiegabili, di fronte alla quale inchinarsi riconoscenti per quanto abbia rivoluzionato beneficamente l’animo di molti uomini, ingoiati ormai dalle fauci scure del peccato e del male, perpetrato senza pietà al proprio prossimo, e proprio per questo va ancora reinterpretata e celebrata attraverso opere del calibro di quella del dott. Andrea Santaniello, intitolata “Santa Claudia Procula e Pilato", personaggi ricordati nei Vangeli quali esempi per tempi difficili.

In questo libro la prima cosa che subito colpisce leggendolo è la precisa ed articolata suddivisione in due parti, in cui la prima fa da narrazione affascinante, abilmente romanzata della storia di Claudia Procula, la principessa cristiana ed illuminata, che amò Gesù e la parola di Dio profondamente, moglie del famoso Ponzio Pilato, procuratore della Giudea, l’esecutore in fondo “indiretto” della crocifissione di Gesù, poiché delegò la bollente decisione al popolo, e la seconda parte, invece, rappresentante la preziosa ed attenta cornice storica dei singoli personaggi, protagonisti di questa importantissima vicenda.

La storia della dolce Claudia Procula, da Proculus, lontano, detta così perché quando nacque suo padre Tiberio era fuori Roma a combattere, comincia in mezzo ad un clima di estrema sofferenza e presunto inganno, poiché sua madre Giulia, figlia dell’illustre principe Ottaviano Augusto, in seguito alla perdita del suo primogenito concepito con Tiberio, a quanto si mormorava tra gli ambienti aristocratici, era caduta in uno stato di depressione mista a folle sregolatezza di costume, che l’aveva portata a frequentare molte feste in cui aveva conosciuto altri uomini, e si presupponeva avesse tradito il marito in sua assenza con uno di questi, concependo la fanciulla.

Il dramma di Giulia, dopo il parto prematuro di Claudia, che fa insospettire irrimediabilmente il marito, nel frattempo rientrato dagli impegni militari, sul fatto che quella bambina fosse in realtà frutto di un adulterio ben celato, è destinato a trasformarsi in una tragedia infinita quando suo padre stesso la priverà del piacere di crescerla, inviandole una lettera in cui stabilisce le sorti della nipote, lontana da lei, in Gallia, presso Livia Drusilla e suo marito.

Molto accurata l’analisi psicologica di Giulia, che seppure rincuorata dall’interpretazione fatta di un suo sogno premonitore sul futuro brillante di sua figlia dalla sua fedele serva Feba, passerà il resto della sua vita tra atroci pene, tra cui la vergogna ed il dolore per l’annullamento del matrimonio da parte di suo marito, e la condanna a 5 lunghissimi anni di esilio il più lontano possibile dalla sua terra, fino alla crudele morte decretata dal comandante in una stanza - prigione del palazzo.

Emerge tutta la sensibilità e l’infinito amore di questa sfortunata madre per sua figlia in una lettera accorata che lei stessa le farà pervenire prima di morire, in cui le descrive il tipo di donna che è stata, ossia un’amante inguaribile delle bellezze della vita e della poesia, ma non una donna lussuriosa, adultera e frivola come molti la dipingevano con leggerezza all’epoca. E come dono le farà pervenire l’anello nuziale con le iniziali sue e di suo padre, rivelandole finalmente la sua vera identità, infrangendo qualsiasi giuramento fatto per sentirsi completamente pulita ed in pace con se stessa.

Dono che Claudia custodirà gelosamente e con immensa gratitudine per tanto tempo, dandole la forza nel cuore di affrontare meglio le vicissitudini esistenziali, conscia delle sue vere radici.

L’autore inizia così a tratteggiare con garbo e senso di reverenziale rispetto il quadro introspettivo di Claudia, la grande protagonista di questo libro quasi profetico sul significato più intrinseco della morte e resurrezione di Gesù Cristo; questa donna fragile e allo stesso tempo forte, promessa in sposa a 15 anni a Ponzio Pilato, uomo di grande successo del secolo, ancora una volta per volere del vecchio nonno, l’artefice di tutte le redini del destino di questa nota famiglia di Roma, la gens Julia – Claudia, genitrice dei maggiori imperatori romani.

Il ritratto di Claudia Procula è quello di una donna molto timida, piena di valori esistenziali e soprattutto consapevole più che mai del prezioso contributo di Cristo all’umanità, dopo aver ricevuto anche lei un miracolo in famiglia, ossia la guarigione per sua opera del figlio malato Pilo, miracolo non servito comunque ad ottenere la grazia per Gesù processato da parte di Ponzio Pilato.

Il rimorso, l’indicibile senso di fallimento per non essere riuscita a fermare questa ingiustizia intimamente la consumano in maniera feroce attraverso il racconto dei  sogni premonitori, forse interpretati troppo tardi, fatti all’amica cristiana Fulvia, una figura di continuo supporto morale e psicologico per Claudia.

L’unica che ha compreso il vero compito della donna su questa terra, ossia essere da tramite tra Dio e gli uomini dopo la morte del Cristo avvenuta sotto Ponzio Pilato, compiendo un grande progetto del Cielo per ridare dignità a Gesù “assassinato” per timore dei sacerdoti del Tempio di perdere il loro potere sulle menti del popolo giudeo. 

E Ponzio Pilato, sicuramente spinto anche dalle sollecitazioni insistenti della moglie in forte disaccordo sulla tristissima fine della vita di Gesù, un giorno si deciderà a fare le sue indagini su chi fosse realmente il Figlio di Dio, in seguito alle conseguenze catastrofiche di quell’ atto abominevole e ai segni soprannaturali ricevuti, riuscendo a ritrovare se stesso, molto confuso prima, e ad apprezzarlo e amarlo di più, difendendolo nella lettera inviata a Cesare per ripulirlo dall’immeritato fango.

Questo sarà uno dei “miracoli” ottenuto tramite la pia Claudia, ricordata principalmente per aver offerto a Maria di Nazareth il telo con cui ricoprì il corpo martoriato di suo figlio Gesù.

Quel telo preannunciato a lei come dono da fare assolutamente in giardino, in circostanze ancora soprannaturali, mediante lo spirito della giovane Cabiria.

Lo stesso telo che successivamente la principessa Claudia venne a sapere che aveva salvato miracolosamente suo padre, una volta portato lì da S. Nicodemo e da Veronica, l’Emorroissa salvata da Gesù, citata tra l’altro nel rapporto sulle grandi azioni miracolose compiute da Cristo fatto da Ponzio Pilato a Cesare.

L’autore conclude questa parte romanzata del libro con un’immagine molto poetica, quella di un orizzonte finalmente intravisto per la missione caritatevole di Claudia nel mondo, lei che aveva dato origine al sacro lenzuolo con le impronte del Cristo, poi fonte di miracolo per il suo vecchio padre regnante, lo stesso che l’aveva prima abbandonata e poi adottata da grande. Quasi un sussurrato perdono concesso a lui con la grazia di Dio per tutte le cattiverie invece riservate ai suoi cari, indossando da subito la maschera di orgoglioso carnefice.

Anche Pilato finalmente ci appare alla fine del racconto in ritrovata armonia col suo essere e felice tra le vigne, simbolo evangelico di chi coltiva finalmente il bene e vive secondo natura.

La seconda parte dell’opera del dott. Andrea Santaniello è certamente quella da leggere con maggior cura, poiché attesta tutti gli anni di studi effettuati dall’autore per inquadrare in modo perfetto i vari protagonisti di questa vicenda storica, a partire da Ponzio Pilato, il cui cognome deriva da “Pilatus”, con la i lunga, a sua volta derivante da “pilum” (arma leggera da lancio delle fanterie legionarie) fino a Claudia, Veronica, Nicodemo ed altri personaggi ruotanti attorno a loro, come ad esempio Sadoch o Sisach, marito di Veronica e Giuseppe d’Arimatea, amico di S. Nicodemo.

Vengono approfonditi argomenti come gli Atti di Pilato ed i Vangeli di Nicodemo, oltre che il rito dell’eucarestia secondo S. Nicodemo, ossia dei pilastri essenziali della Storia della nostra religione spesso ritenuti secondari o addirittura sconosciuti ai più.

Ed il peso inestimabile di questo libro va riconosciuto soprattutto per questa opportunità culturale di arricchimento data ai lettori, che si trovano dinnanzi ad un testo nella prima parte scritto in uno stile elegante, ma contemporaneamente accattivante, che li induce a leggere ogni capitolo tutto d’un fiato; nella seconda d’altro canto si presenta un’analisi storica redatta senza troppi eccessi, quindi lineare ed ugualmente accattivante. Ciò perché continuamente alleggerita da interessanti e curiosi aneddoti del quotidiano vivere dei personaggi, oltre che da lettere e parte di vangeli apocrifi, illuminanti su certe realtà contenute nei vangeli ufficiali.

La cosa bella ed insieme motivante di questo libro è che non nasce per caso, bensì sotto spinta ancora di un sogno premonitore, questa volta del dott. Santaniello, sull’orma quindi preveggente di Claudia Procula, poiché nel 1996 egli sognò un personaggio che oggi ha riconosciuto in S. Nicodemo.

Ventiquattro anni fa l’autore non sapeva della guarigione di Tiberio e della venuta in Campania di Veronica e Nicodemo col telo intriso del sacro sangue di Gesù. In seguito “aiutato dal cielo” è arrivato a capire questa verità.

E di recente l’Università di Napoli, a conferma dei suoi ultimi scritti, ha individuato negli affreschi longobardi da lui studiati, il richiamo al più antico rito eucaristico, rito noto proprio a S. Nicodemo.

Su questa recente scoperta il via libera al lettore di iniziare questo piacevole e terapeutico viaggio verso la redenzione e rinascita di tutti i personaggi che hanno accolto in sé il vero e più semplice messaggio dato da Gesù a tutti gli uomini: l’Amore incondizionato sempre, perché dall’odio non nasce mai nulla di costruttivo e nell’odio tutto sarebbe destinato a divenire un “salto nell’ignoto e nel vuoto”.

 

 

 

Recensione del libro "Manuale dell'aspirante attore - Metodo Porfido" a cura di Carmela Gabriele 

A chi nel corso della vita non sarà capitato di perseguire un sogno fino allo sfinimento delle proprie forze, se voluto intensamente, e alla fine di cedere, se nulla ha portato a vederlo concretizzato, nonostante gli innumerevoli tentativi fatti per arrivare al suo coronamento? A chi non sarà capitato di abbattersi per un fallimento, e se debole ormai dalle radici del cuore, non sperare più, facendo uno scivolone verso una strada di non ritorno al proprio desiderio irrealizzato?

Credo a molti di noi sia successo questo ed anche qualcosa di più sconfortante, inducendoci a scegliere per ciò ritenuto “più comodo, facile” per continuare a rialzarsi e sopravvivere, piuttosto che vivere appieno i nostri giorni. Un voler accettare fatalisticamente ciò che è destino, e non aver osato cambiarlo con grinta, fermezza, ostinazione e passione incontrastata, ciò che solo un animo temerario e intriso fino al midollo del “sacro fuoco dell’arte” può combattere, vincendo la sua partita.

Ebbene, Renato Porfido, attore di un certo spessore, con in tasca ormai dei grandiosi obbiettivi raggiunti, questa ardua battaglia l’ha superata in modo eccellente, a costo di sudati sacrifici e studio costante per riuscire a fare un mestiere in cui grandi dettami non ci sono, e bisogna costruirselo da sé, poco alla volta, trovando il “metodo” più consono per farlo proprio, e soprattutto per “vederlo” realizzato.  

La sua esperienza, frutto di anni di incessante e faticoso lavoro, l’ha messa a servizio di chi come lui voglia intraprendere la carriera di attore o attrice, scrivendo questo piccolo gioiello di saggistica, intitolato non a caso “Il manuale dell’aspirante attore”, strutturato essenzialmente in prima persona, con interessanti racconti autobiografici, volti ad alleggerire un percorso lavorativo irto di spine e non solo costellato di rose. Libro indubbiamente ricco di perle di saggezza da elargire a quei giovani inesperti, sicuri che diventare attori sia solo avvalersi di un fisico prestante e di una bellezza, sinonimi di essere fighi.

In questa opera, prodotto di anni ed anni di frenetico alternarsi di lavori anche pesanti - come quello di imprenditore edile con la propria ditta, costruita dopo aver acquisito le giuste competenze, o operaio responsabile dei cantieri della metro di Torino, o agente immobiliare ed agente specializzato alla vendita dei biglietti per le ferrovie - a quello più camaleontico di attore, impegnato ogni volta su un diverso set, l’autore ci dà le basi da gettare in un probabile progetto di vita, per fare questo mestiere senza perdersi in un ginepraio di spiacevoli delusioni privo di via di uscita.

Fare l’attore è innanzitutto non puntare sulle apparenze, ma dar voce all’essenza, al talento nascosto spesso in ciascuno di noi, sviluppandolo con uno studio serio in un’accademia teatrale o scuola di cinema. Inoltre, non è aspettare che la manna scenda dal cielo, stando fermi a casa in attesa che qualcuno ci noti attraverso una serie di curriculum e foto inviate via e-mail. Bisogna darsi da fare quotidianamente, muovendo prontamente le proprie gambe, percorrendo anche chilometri per raggiungere le varie agenzie selezionate da internet.

Perciò è una sorta di “ossessione” come dice a ragion veduta l’autore, che deve alimentarci a fare tutto il possibile per ottenere la meta prefissata, essendo coscienti che come tutti i percorsi, non esistono quelli perfettamente lineari – quelli sono rari, strada aperta soltanto per chi ha le spalle coperte nel settore spettacolo – ma piuttosto quelli contrastati da ostacoli e sacrifici immani, che sono uno sprono per crescere e non “gettare la spugna”, cosa che accade sovente per chi in realtà non ci crede fino in fondo, e tende a proteggersi, omologandosi alla massa.

Renato Porfido ha amato inconsciamente da ragazzo, ama visceralmente adesso ed amerà sempre questo mestiere, che lo sta portando lontano e che gli ha insegnato a stare al mondo con orgoglio e fierezza, senza mai vergognarsi di quali estreme situazioni sia stato costretto ad affrontare, come ad esempio vivere per un po' di tempo in una roulotte, o magari vivere la vita di altri, accontentandoli e spesso perdendo di vista il suo vero obbiettivo.

E con questo manuale ha coronato un altro suo intimo sogno: finalmente creare un insieme di regole scritte, cosa mai fatta così dettagliatamente prima d’oggi, per non cadere nelle trappole oscure in cui il mestiere d’attore potrebbe fare anche assecondando agenzie che richiedono ingenti somme di denaro, promettendo fumo puro. 

Attore è pure la soddisfazione di trovarsi un tetto sopra la testa, dopo aver tanto penato, è creare attraverso la regia e l’interpretazione significativi cortometraggi, è investire in corsi di dizione o recitazione per migliorare continuamente, è sentirsi felici e a posto con se stessi, ma soprattutto è una vocazione che solo pochi eletti, pronti a tutto, potranno vedere trasformarsi in un lavoro stabile, pieno di gioie e sfumature cangianti dell’esistenza. Attori si diventa, quindi, con l’allenamento e la determinazione, a volte si nasce, ma pur sempre tenendo in conto che ogni predisposizione naturale va coltivata, cullata e onorata per diventare il lavoro concreto di qualcuno.

 

 

 

Prefazione del libro "Pensami" dell'autore Andrea Santaniello a cura di Carmela Gabriele 

Ci sono opere letterarie che riescono con una grazia, profondità di significato e saggezza infinite a lasciarti un segno dolce nel cuore, e ad infonderti un senso di gioia e pace ritempranti al solo atto di rileggerle nei momenti in cui vuoi sentire che c’è ancora una speranza per cambiare in meglio questo nostro mondo, spesso martoriato dalla violenza ed incapacità di dare la giusta dimensione alla parola “amore”!

Ci sono coscienze addormentate di giovani di grande valore che vengono consapevolmente guidate verso un risveglio risanatore per il nostro Universo, bersagliato ormai troppo pesantemente da messaggi che distruggono il tesoro più prezioso ben celato in ciascuno di noi ed ancora non completamente afferrato: i nostri sogni!

Tutto ciò e molto di più di altissimo spessore culturale e sociale, che va assolutamente gustato e scoperto attraverso un’attenta lettura, lo possiamo ritrovare in questo nuovo, ben articolato scritto del dott. Andrea Santaniello, intitolato non a caso “Pensami”.

Perché pensarlo, mentre si attraversano con l’immaginazione i suoi scenari esistenziali, è farsi prendere poco alla volta da lui per mano e seguire sentieri talvolta ancora inesplorati dalla nostra mente e dalla nostra anima, spesso troppo prese dalla frenesia e routine quotidiana, da essere diventate cieche di fronte ai miracoli della Natura e di Dio, e non riuscire più a “sentire” le più semplici emozioni, con l’innocenza magari di un bambino che gioca per la prima volta e sorride beato.

Un libro originalissimo, poiché composto da una prima parte che racchiude le sue poesie più intimistiche, sentimentali e naturalistiche, composte con grande maestria e spiritualismo rinfrancante sin da ragazzo, ed una seconda parte che, oltre a mettere insieme bellissimi racconti con protagonisti magari uomini sofferenti che hanno combattuto tantissimo per superare le battaglie della vita, oltre che gli angeli che da sempre vegliano su di noi e ci proteggono dalle brutture del domani, nonni pieni di sano senso filosofico ed antica saggezza che guidano nipotini desiderosi di vivere avventure strepitose e diventare saggi come i loro nonni, parla in alcuni stralci proprio di Andrea, e soprattutto del suo rapporto con Dio.

Dio è la luce che tutto rischiara nei periodi bui, lo stesso Dio che dopo la morte ritroveremo ad attenderci per accoglierci nelle sue braccia, se abbiamo seminato bene su questa Terra l’amore verso il prossimo ed abbiamo seguito con rispetto ciò che ci ha insegnato mediante le Sacre Scritture.

Il dott. Santaniello ce lo fa percepire fortemente “vivo” quel Dio onnipotente ed in alcuni suoi racconti mette in evidenza quanto sia importante apprezzare e non contaminare il dono più ineguagliabile che ci ha fatto, ossia il Creato con tutte le sue meraviglie.

Infatti, soprattutto nella parte poetica la Natura è decantata, a tratti quasi personificata, presentata come la “Madre” che ci culla con il mare, che ci colora la vita con il cielo e ci illumina con le stelle e la luna.

Una Madre che ci vuole bene e perciò va rispettata.

Molto interessanti sono senza dubbio anche le riflessioni in cui si parla della materia e dell’energia, due elementi inscindibili che costituiscono non solo l’Universo, ma anche noi esseri viventi e ci portano a prendere coscienza di quanto potenziale ancora inespresso disponiamo. Potenziale che potrebbe indurre molti altri uomini alla salvezza.

In definitiva, un’opera completa questa del dott. Andrea Santaniello, che non può che spronarci ad essere uomini rinnovati interiormente, pronti a riconoscere anche le proprie debolezze per trasformarle poi con intelligenza in punti di forza, modellando il nostro carattere e soprattutto trovando una risposta ai punti interrogativi ancora irrisolti del nostro io con la lettura costante di libri, memorie di una vita all’insegna del dovere e dell’incondizionato amore come questo. E noi non possiamo far altro che ringraziare l’autore per quanto sapiente regalo letterario ci sta facendo con quell’immenso senso di umiltà che solamente i grandi maestri della scrittura sono in grado di elargire ai posteri.

 

 

 

Recensione dell’opera musical “Madam Senator” a cura di Carmela Gabriele

31 Maggio 2014, ore 21 circa, Teatro Greco di Roma: nell’immensa e splendente sala teatrale, una folta schiera di spettatori è fremente ed ansiosa di vedere un’assoluta Prima Internazionale, il Musical “Madam Senator”, indubbiamente dal titolo che scotta e fa già presagire grossi colpi di scena, opera in due atti di Mario Fratti, rinomato per i 7 Tony Awards strappati con lo spettacolo Nine, adattato registicamente dalla camaleontica Giosiana Pizzardo ed incorniciato dalle melodie travolgenti di Tiziano Bedetti. I minuti scorrono e si aspetta ancor più trepidanti l’inizio di questo spettacolo messo su dalla prestigiosa Compagnia Prima Donna Esemble, avvalendosi delle coreografia di una giovane e talentuosa coreografa, Nazarena Gulinazzo. La tensione sale al massimo, fino a che una musica incalzante ed allegra preannuncia che la macchina magica del teatro sta per prendere la rincorsa, e dietro, tra lo svolazzar del sipario blu elettrico, come se ci fossero tanti cavalli di razza scalpitanti, si percepisce il chiacchiericcio entusiasta degli attori, misto a quello più simile ad un formicolare chiassoso del pubblico. Fino a che tutto non si dissolve, improvvisamente rapito dall’attenzione rivolta al sipario che finalmente si apre, lasciando spazio alla scena alquanto variopinta che come un quadro animato vigorosamente si spiega con un balletto energico e sensuale, su un ritmo incalzante messo in atto da attrici e corpo di ballo.

L’ambientazione, visti i vestiti piuttosto striminziti e pacchiani, si intuisce subito che è quella di una comune casa di tolleranza, popolata da quattro giovani prostitute, un po’ stanche dei capricci e delle angherie dei loro frequentatori abituali, quattro ragazze con storie pesanti e diverse alle spalle, ma accomunate tutte da un nascosto desiderio di normalità quotidiana, afflitte dagli insulti e giudizi affrettati della gente perbene, ma capaci di non darlo a vedere attraverso la loro sfacciata maschera sarcastica. Mentre si sfogano tra di loro, interrotte a tratti dalla giocosa simpatia del figlio più piccolo della loro datrice di lavoro, Madam, ancora all’oscuro di quali incontri erotici avvengano all’interno di quelle mura in cui vive spensieratamente, e dalla visita inaspettata della sorella di una di loro, Mercedes, ragazza timorata di Dio, vissuta tra le pareti di un severo collegio, intonando una bellissima aria da soprano entra lei, Madam (Giosiana Pizzardo), nel suo lussureggiante abito lungo verde, con le sue forme tonde ed invitanti ed i suoi lunghi capelli biondi, da tutte riverita. Contagiosa per la sua parlata genuina e spicciola, vigorosa per la forza con cui affronta da tempo i problemi del mestiere di tutti i tempi, la meretrice, con una ricca borsa della spesa in mano (nonostante tutto Madam è una donna come qualsiasi normale casalinga, che pensa alle faccende di casa e senza timore si mostra in pubblico a comprare ciò che serve) incita tutte a darsi da fare e cerca di accontentare a malincuore un suo vecchio cliente, presunto padre di uno dei suoi due figli.

Le musiche, a tratti riecheggianti nostalgiche commedie western americane, i balletti sempre più vorticosi e seducenti, inscenati da ballerini ed attori con la medesima disinvoltura, si susseguono, mentre nuovi personaggi si presentano al pubblico: Gordon, il figlio maggiore di Madam, spietato Don Giovanni dei nostri giorni e misogino per forza di cose, avendo a nausea i bordelli, che sorprende il pubblico con un rap coinvolgente, carico della sua rabbia repressa ed insolenza giovanile; la candida Mercedes, che in una scena molto cruda si intravede stuprata su un tavolo nel soggiorno da Gordon; il giornalista alla caccia accanita di scoop, che intervista l’antagonista di Madam, il Senatore Johnny, un vecchio lupo famelico di successo e denaro, affiancato da una losca moglie, vestita volgarmente di tinte accese, presumibilmente in tempi andati una prostituta di campagna arricchita con questo matrimonio succulento, che non esita ad amoreggiare nella piazza pubblica in cui il marito sta facendo la sua intervista con l’affascinante rampollo del bordello, Gordon.

Ed è proprio con l’uscita dell’aggressivo Senatore che incominciano i guai per la bella Madam, poiché tra i suoi progetti per rinnovare la città dopo le elezioni che ritiene presuntuosamente già vinte, c’è quello feroce, deciso di far chiudere tutte le case di tolleranza degli Stati Uniti e cacciare via le “puttane”, come ribadisce con cattiveria in più interventi. Emerge così l’eterna lotta tra sesso e potere, che in fondo reale lotta non è mai stata, ma solo un simbolo per calcare il proprio terreno e mostrare chi è veramente il “padrone” del popolo. Lotta che Madam, ferita nel proprio orgoglio insieme a tutte le sue care ragazze, tra cui anche un bislacco “travestito” che si fa notare soprattutto dal pubblico in sala per la sua immensa capacità mimica nell’ammiccare dolcemente, si intestardisce ad intraprendere e vincere fondando il PDP, ovvero il Partito delle Puttane, che sicuramente riuscirà a prendere molti voti dalla clientela maschile.

E su questo sfondo caldo, a momenti tutto è reso più leggero e svampito dall’annuncio di un usciere - volutamente strampalato nel pronunciare le parole - di sua Eccellenza Vincenzino Parte Seconda, ironica personificazione della Chiesa e simbolica immagine estetica del Cristo per gli abiti che indossa, con la sua barba e lunghi capelli che occultano perle di antica saggezza, figura che ogni volta strappa risate assordanti e l’assenso degli spettatori per la sua personalità forte e ben radicata nel contesto della vicenda nella sua chiave dissacratoria, ma mai scadente nel volgare verso la cristianità. Si chiude il primo atto del Musical. Pochi attimi di attesa, resa più viva dalla bellezza e valore dell’opera finora assaporati, per poi ridare il lancio alla scena con il sipario che si riapre su una Madam afflitta ed amareggiata come non l’avevamo mai vista, che ritrova un barlume di speranza alla miracolosa comparsa di lui, bello ed aitante scrittore italiano, Chuck (Alex De Vito) che ha sentito molto parlare di lei ed avendola seguito con fervore da tempo, vuole darle una mano nella sua campagna elettorale, scrivendo vari articoli su di lei e facendola conoscere da più persone possibili per quello che ha dentro, al di là delle chiacchiere di invidiosi e puritani, alimentate dal Senatore e dalla sua ipocrita consorte.

Ed un duetto emozionante, commovente ed affiatato tra Madam e Chuck, intonato tenendosi dolcemente per mano, sancisce il nascere di un sentimento puro ed intenso tra i due personaggi, provenienti da mondi differenti, ma collimanti nei buoni principi verso l’esistenza. Madam, rinforzata dall’amore rivelatole con tenerezza da Chuck, incurante di tutti i pregiudizi bigotti che costelleranno questa relazione, si scontrerà a questo punto quasi senza ritegno verso chiunque abbia una parola malvagia verso di lei o abbia commesso misfatti, come suo figlio Gordon, che vorrebbe cavarsela senza pagare per la violenza su Mercedes, e dopo l’esuberante botta e risposta in virtuosismi vocali con la sgualdrina del Senatore, da cui ne uscirà di gran lunga vincitrice per la sua pronta favella, alla fine riceverà il premio più grande per la sua tenacia: la vittoria delle elezioni in tutti gli Stati d’America, tra il livore di furore del Senatore e della sua consorte, smascherata nella sua vera natura di ex- puttana da Madam.

Il finale è vicino ormai, anticipato da uno scatenato e spettacolare gospel di sua Eccellenza Vincenzino Parte Seconda, vero padre a sorpresa di uno dei figli di Madam, sfatando il mito dei preti immacolati, e la rivelazione che l’altro è figlio naturale del Senatore, uno dei sporcaccioni più incalliti di Madam con la faccia da salvatore del mondo ben mostrata per fregare il popolo stimato imbecille al momento di votare, e la padrona del bordello è ormai pronta a rinascere chiudendo battenti, per approdare a nuovi scenari. Scenari poco lussuriosi, che la vedono con le sue amate ragazze magari alle prese con una casa di moda o qualcos’altro di altrettanto onesto che saprà inventarsi, pur di “vivere” pienamente la vita che non ha mai avuto. Accanto all’uomo dei suoi sogni, il nobile Chuck, che ha saputo vedere in lei la donna di temperamento e generosità immensi piuttosto che la puttana da strapazzare sfruttando fino all’osso una notte. Con un’arietta scoppiettante e divertente, che incita a cantare e a godere l’esistenza con il sorriso sulle labbra, Madam saluta il suo pubblico che ha gioito, pianto ed acclamato con lei.

Musical che come un’onda avvolgente ti porta via con sé, facendo vagare la mente per universi onirici mai raggiunti, agognati però nel buio della propria anima. Musical diviso benissimo nelle scene, catturando fino alla fine l’attenzione dello spettatore incollato alla poltrona per gli effetti speciali creati con la commistione di buona recitazione, canto e danza. Un cast eccezionale, formato da attori giovani e meno giovani, che hanno dimostrato di amare visceralmente il palco, essendo sempre presenti nell’atto di recitare, da omaggiare dal primo all’ultimo per come si sono dati al pubblico. Perciò grazie di cuore a Giosiana Pizzardo, Alex De Vito, Roberto Giacomelli, Alberto Mancini, Anna Salvi, David Marchetti, Monica Albertin, Alice Traini, Sara Melandri, Lucia Neri, Katia Mazzoleni, Gioele Calderoni, Giancarlo Di Giacinto, Paolo Garavello, Gabriele Traini, Giosuè Calderoni e Fabrizio Giandotti. Ci avete fatto innamorare del teatro!

 

 

 

Recensione del cortometraggio “L’operaio dei sogni” diretto da Pio Ciuffarella a cura di Carmela Gabriele

Una musica dolce e rilassante, il suono fragoroso, rigenerante per l’anima delle stupende cascatelle di Chia, con tanti primi piani e dettagli della natura lussureggiante di questo incontaminato paradiso nei pressi di Soriano nel Cimino. Ecco l’ammaliante apertura del cortometraggio “L’operaio dei sogni”, diretto con profonda sensibilità e grazia dal regista Pio Ciuffarella, un solenne omaggio alla grande figura del poeta Pier Paolo Pasolini, ucciso ferocemente nel pieno della sua fama letteraria ad Ostia Lido 37 anni fa. Altri suoni fanno da sfondo alla vicenda interiore di rimembranza del primo personaggio della storia entrante in campo, ossia lo scrittore e critico letterario Andrea Mariotti, interprete egregio di se stesso, riflessivo e moderato nelle movenze e discorsi, e sono: quello di una vecchia caffetteria da lui adoperata tutte le mattine, che per ben due volte fischia minacciosa, riversando poi tutto il suo contenuto sulla cucina per la sua sbadata dimenticanza, e quello del telefono che squilla ripetutamente a ricordargli i suoi doveri di uomo di cultura. La telefonata di due studenti universitari che vorrebbero ripercorrere i luoghi più significativi di Pier Paolo Pasolini con il suo aiuto competente, ai fini di una loro approfondita ricerca, sono un’ espediente geniale usato dal regista per far svegliare improvvisamente dalla sua aria assente e trasognante Mariotti, rimasto fortemente legato al ricordo del noto scrittore. 

Numerosi gli effetti sfocati della macchina da ripresa quando si sofferma sul dettaglio della caffetteria e successivamente dei libri custoditi nello studio ordinato di Andrea Mariotti, a voler preludere all’atmosfera onirica e quasi surreale che caratterizzerà l’intero film, donandogli un tocco lirico e allo stesso tempo evocativo, molto fedele alla concezione artistica pasoliniana. Centrale per la comprensione della vicenda l’immagine in cui Mariotti al computer scorre con nostalgia tutte le immagini di Pasolini, fino a restare incantato da una che lo raffigura giovanissimo … A questo punto il regista innescherà abilmente una serie di immagini in cui fa da padrone un Pasolini appena ventenne che passeggia ammirato e a passo spedito per le strade del centro di Roma, interpretato con superbia e nel contempo fragilità da Paolo Di Santo, che ha dato prova di evidente maturità nel ruolo, oltre che di una certa scioltezza.

Quella vecchia foto riporterà Mariotti a sentire viva la sua anima e a vederlo in carne ed ossa davanti a sé, fuori al giardino di casa sua, dopo che un ennesimo rumore prima lo ha distratto, ossia lo squillo del suo cellulare, sul quale compare il nome della studentessa che lo aveva contattato già in cucina, Nerina. Ed è proprio andando incontro a lei e al suo collega, interpretati in modo particolarmente realistico da Francesca Silvestri e Manuel Santilli, due attori giovani molto attenti all’espressività del volto e del corpo, oltre che alla cura della voce, che Andrea Mariotti vedrà correre Pier Paolo Pasolini, spaventato dal fatto di essere entrato a far parte delle ossessioni di questo uomo di lettere come lui, e verrà ritenuto folle dai due giovani, che non vedono nulla. Inizierà allora la parte più avvincente del cortometraggio, in cui Mariotti rincorre fino alla Stazione Termini Pasolini e cercherà di convincerlo del suo immane amore per la sua arte e del fatto di essere un suo fedele seguace recitando a memoria i versi di una sua poesia, che il giovane Pasolini rapito si ritroverà a recitare insieme a lui, quasi sfidandolo in un duello poetico martellante. Pasolini, commosso da tanta stima, si siederà ad un certo punto accanto all’uomo vivamente provato e gli toccherà amorevolmente una spalla, chiedendogli chi è, quasi a volersi rammentare di lui, ma la paura di essere motivo di persecuzione per la mente di Mariotti, lo farà fuggire per una seconda volta. Sarà la bottega di Silvio Parrello, l’ex ragazzo di vita, assai verace e simpatico nel ruolo di se medesimo, dotato di una discreta mimica facciale, l’altro scenario imponente di questa storia per la fermezza con cui asserisce ai due studenti che sono andati a trovarlo di sapere chi ha ucciso lo scrittore.  Notevole la passionalità con cui, spinto da una forza superiore ed arcana, recita a memoria l’articolo sulle stragi di Pasolini, dove a suo parere sono racchiusi tutti i misteri sulla sua morte. Questo proprio sotto gli occhi della giovane anima dello scrittore riesumata dal ricordo di Mariotti, che ascolta, attonita e non vista da nessuno, la triste verità. Molto suggestiva l’immagine girata tra i boschi della frazione di Chia, luogo che ha dato il via a questo romantico sogno cinematografico, in cui Pier Paolo comincia a camminare a passo veloce e a momenti con lo sguardo adorante di quel rifugio di pace che lui nel 1964 scelse come location per il suo film “Il vangelo secondo Matteo”. Qui si recheranno anche Silvio e i due giovani forse sulla scia del suo spirito e rivivranno tutta l’emozione della scena del battesimo di Gesù su se stessi, fino a che… il giovane Pasolini non sarà visto anche da Parrello ed un lungo, silenzioso abbraccio suggellerà questo magico ed insperato incontro. Nella scena conclusiva, in cui pure i due studenti riescono a vedere felici l’immagine di Pasolini da giovane, egli scriverà un messaggio su un pezzo di carta che regalerà all’acqua, dopo averci fatto con esso una barchetta, la stessa già ripresa prima in dettaglio dal regista su uno scaffale in mezzo ai libri nello studio di Mariotti a voler provocare quasi lo spettatore , inducendolo a pensare che non è stato poi tutto un sogno. Ed Andrea Mariotti, proprio in quell’istante, si sveglierà bruscamente dal suo viaggio nel passato. Ci sarà così il ritorno alla vita di tutti i giorni ripreso magistralmente con la  scena del telefonino che squilla con su impresso il nome di Nerina.

Va riconosciuto il grande lavoro e merito di  Pio Ciuffarella, coraggioso nell’aver ideato  un cortometraggio di grosso spessore culturale e valore, reso speciale dall’interpretazione dei singoli attori, che sentivano in maniera densa il desiderio di rendere un degno regalo allo spesso dimenticato Pasolini, scrittore che fu scomodo per le sue idee politiche a molti.

 

 

 

Recensione del romanzo “Ti racconto di lei” di Alessio Follieri a cura di Carmela Gabriele

Può una storia raccontata da uno scrittore cambiarti per sempre la vita ed aiutarti a comprendere meglio quali potenzialità dal sapore ultraterreno alcuni di noi hanno radicate in se stessi e quanto bene potrebbe essere elargito ai nostri compagni di viaggio sulla Terra?

Prima di leggere questo illuminante romanzo del grande autore Alessio Follieri, ossia  “Ti racconto di lei”, sicuramente no, perché ciò che è stato meticolosamente narrato è un mondo all’apparenza irrazionale per certi accadimenti straordinari, ma tangibile attraverso esperienza vissuta con forza da chi ha incrociato sul suo duro cammino esistenziale la radiosa protagonista!

Già, radiosa in quanto non si potrebbe definire altrimenti Stella, prima bambina dalla profonda saggezza tipica dei grandi, ancorata saldamente alla figura della nonna Marisa, donna tutta d’un pezzo d’altri tempi, eppure dentro morbida come un cioccolatino pronto a sciogliersi per l’affetto incommensurabile nutrito per la nipotina, ritenuta da molti “anormale” per alcune sue caratteristiche fisiche e l’incapacità di parlare,  seppur grandicella. Stella dai profondi occhi neri, occhi che penetrano nell’anima e nel corpo, che soffrirà da adulta come un cane martoriato per la morte della nonna, l’unica che veramente l’aveva percepita per il suo dono rarissimo di curare con la sua energia chi stava molto male e l’aveva sempre stimata, coccolata, difesa e mai giudicata. Stella, che nemmeno la mamma voleva riconoscere per la sua preziosa rarità.

Chi incontra la protagonista con le sue fragilità ed insieme grandi capacità terapeutiche che sono la sua unica, inesauribile forza e coraggio, oltre che inspiegabile mistero di madre natura, fatta di luce e connessioni istantanee col resto dell’Universo, non può fare a meno di restarne affascinato, e poi amarla a prescindere da tutto. Stella sarà un po’ la guida per un giornalista, Fabio, che ha dovuto patire psicologicamente tanto sin da ragazzo per la smoderatezza del fratello, e quando in una situazione di dolore fisico sarà indirizzato da lei e guarirà grazie al suo immenso potere, la seguirà in tutto ciò che fa per alleviare le pene dei malati. Questo perché lui, da sempre occupatosi come per uno scherzo del destino solo di questioni scientificamente dimostrate, verrà ora a conoscenza che c’è di più, qualcosa che probabilmente ha le sue origini nel divino e solamente così potrebbe essere possibile.  Certo nel romanzo non manca una densa vena di scetticismo da parte di alcuni di coloro che chiederanno l’aiuto naturale terapeutico di Stella, costoro abbandoneranno le sue terapie e si lasceranno andare o seguiranno la vecchia strada che già non aveva dato buoni frutti. Però la cosa bella della storia è che Stella non li dimenticherà mai, anche se da lontano seguirà il loro percorso fin dove potrà e cercherà di mettersi nei loro panni, panni di persone che non hanno voluto aspettare e credere nel regalo stupendo della guarigione.

Alessio Follieri, mediante uno stile raffinato ed estremamente semplice nelle strutture dei periodi, uno stile proprio per questo speciale, poiché arriva al cuore di tutti i lettori velocemente, è riuscito a creare uno dei romanzi più suggestivi e profondi di questo secolo. Pochi tratti da sapiente pittore nelle descrizioni per presentarci gente umile, che lavora con dedizione la terra ed è detentrice di sani valori, quella da cui ha avuto l’educazione, oltre che i natali la dolce e al contempo fortissima generatrice di benessere e vita che anima le pagine di questo bellissimo libro molto simile ad un film, Stella. Un abbraccio metaforico e caloroso va indubbiamente a lei, che ci ha tenuti per mano, mentre vivevamo le sue avventure di bambina con il gatto sornione della nonna, con i piccoli simpatici o impertinenti amici, con i paesani un po’ goffi e genuini, fino al suo maturo ed impervio percorso di adulta osteggiata dai professoroni per il suo dono definito dai più ignoranti “magico”, dono che nonostante il suo carico non le ha impedito di farsi una famiglia e di dedicarsi ad essa con sacrificio ed indicibile amore. Grazie infinitamente Alessio Follieri per avercela fatta conoscere, lei è un po’ noi quando vogliamo trovare la forza di reagire da combattenti al male, sperando di superare tutto mediante la forza risanatrice della natura!